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giovedì 2 maggio 2013

Dietro Renzi si prepara Debora (l’Espresso, 2 maggio 2013)

«Voglio dare una mano a Matteo a tirare fuori l'Italia dalle macerie»: così la Serracchiani, dopo la vittoria in Friuli, si prepara a giocare un ruolo forte nel partito che verrà
  • di Tommaso Cerno
Quella sua maglietta fina, cantavano i fan sotto il Palazzo della Regione. «Ma non sono i miei spasimanti», scherza lei e «non parlano di Claudio Baglioni». Parlano proprio di una maglietta. Bianca e pure stropicciata. La indossa Debora Serracchiani, star del Pd nata sulla Rete prima che il Movimento 5 Stelle ne facesse il proprio regno elettorale.
La esibisce come un feticcio. «E' con questa t-shirt che io e Matteo cambieremo il Pd».
A guardarla bene è proprio la stessa.
La stessa che indossava il 7 giugno 2009, nel giorno del suo primo trionfo alle elezioni europee. Quando l'allora semi-sconosciuta consigliera provinciale di Udine conquistò un seggio all'Europarlamento, incassando in Friuli oltre 74 mila voti, più di un tale capolista del Pdl che rispondeva al nome di Silvio Berlusconi.
E anticipando di fatto l'era della rottamazione di Renzi: «E' con questa maglietta che diedi le pagelle a D'Alema e a Veltroni. Bocciati. L'avevo tenuta chiusa in un armadio come una reliquia. Poi, durante lo spoglio delle regionali, qui in Friuli, dove ormai mi davano tutti per morta sotto le macerie del Pd romano, l'ho ritirata fuori. Mi sono chiusa in camera e l'ho indossata per tutto il giorno. Ho risentito il profumo del mio Pd, quello che vince le elezioni, una cosa talmente incredibile per i nostri dirigenti romani, che nemmeno la mettono più tra le possibilità. E mi sono detta: è colpa anche nostra se siamo arrivati a questo punto. Dovevamo crederci ancora di più. Ma adesso basta, adesso cambiamo le cose».
Già, perché per Debora Serracchiani quelle ventiquattro ore di voto sono state un misto di sogni e di scaramanzia. Ha pranzato da sola, a casa con papà Roberto, proprio come nel 2009. Ha cucinato lei, come quattro anni fa. Ha preparato lo stesso menù di allora. Pollo, patate e funghi. S'è seduta sulla stessa sedia. E poi è andata alla sede del Pd, in via Joppi, nel quartiere popolare di San Rocco, a sud di Udine. Vicino al bar Franti, dove ai tempi del Pci si giocava a briscola per tutta la notte bevendo il tajut di vino, come si chiama qui. Lì, seduta nella stessa stanza vuota in cui aveva atteso il risultato di Strasburgo che l'aveva portata dalle cronache locali alle prime pagine dei quotidiani nazionali, s'è resa conto che tutto stava cambiando.
E che il Pd aveva vinto: « È come un'anestesia che finisce all'improvviso. Sono tornata», sussurra fra sé mentre lo spoglio vede l'astensione trionfare, con metà degli elettori che se ne restano a casa.
E vede Grillo dimezzare i voti rispetto alle politiche di due mesi fa. E ancora mette in scena un testa a testa al cardiopalma con il governatore uscente Renzo Tondo, berlusconiano scettico del traino di Silvio, aggredito dalle liste civiche dei dissidenti, senza più lo smalto d'un tempo. Carnico duro di carattere, staccato di appena 2 mila voti, mentre i berluscones ancora tifano alza il telefono e chiama: «Brava, hai vinto». Duemila voti, conta pure lei.
Una manciata se li si guarda da Roma, ma un trionfo se si contano da piazza Unità d'Italia a Trieste, dove Debora era data per spacciata, trafitta al cuore dai franchi tiratori del Pd e dal caos generale, dalle dimissioni di Bersani, dal bis di Napolitano. Insomma, destinata a uscire di scena: «Mi ero preparata al peggio», racconta. «Dopo l'esito delle politiche è stato difficilissimo ridare orgoglio ai nostri militanti. Quando ci si è messa Roma, con la sciagurata gestione dell'elezione del presidente della Repubblica, mi sono sentita travolgere dalle macerie. Mancava solo l'invasione delle locuste, poi le piaghe bibliche le avevamo avute tutte. Ma questo ci fa capire che è stato un voto politico: se il Pd si presenta con facce pulite e nuove, i cittadini lo premiano».
E così Debora torna a essere una carta vincente dei Dem. Una carta che anche i piani alti s'erano dimenticati di avere. Un Bassolino in versione 2.0. Un governatore che intende pesare come e più di un ministro. Un pungolo per il Pd burocratico ed elefantiaco. Governatore di una regione autonoma, contro ogni previsione dell'ultimo minuto. Pure geografica.
Lei, 43 anni, romana di nascita, rispunta dalla tempesta perfetta del suo partito, mentre a Roma si apre il processo a Pier Luigi Bersani e alla classe dirigente che ha schiantato il treno in corsa contro Grillo e Berlusconi, fino a immolare il padre fondatore Romano Prodi: «Ma se ci fermiamo al parricidio, siamo finiti. Se rifacciamo fra noi le correnti che abbiamo osteggiato perdiamo di nuovo», profetizza con il tono di chi sta già ai piani alti.
Al fianco di Renzi. Come voce dell'estremo lembo italico a Nord- est, quello che già molti immaginavano grillino, nel peggiore dei casi, o di nuovo sotto le insegne del Cavaliere.
Qui da lunedì sera, c'è invece un villaggio di Asterix, piccolo e lontano, quell'unica bandierina arancione piantata in mezzo al regno lombardo-veneto verde leghista di Bobo Maroni e Luca Zaia, che già stava muovendo come in un Risiko secessionista le truppe verso Trieste, per formare una macroregione del Nord da opporre al centralismo romano.
Un progetto che, però, si ferma qui. Sul fiume Tagliamento, il Po anti-leghista. Quello di Pier Paolo Pasolini e della sua Casarsa rivoluzionaria. Quello delle casse di espansione che non piacevano ai grillini. Quello che blocca la Tav a Venezia. Quello della terza corsia da due miliardi e mezzo di euro su cui Tondo si è giocato la campagna elettorale. «Nel feudo del centrodestra e del buon vino dove oggi una donna ha dimostrato non soltanto che può esistere un altro Pd, ma che può esistere un altro Nord Italia», dice Debora.
Ora per lei cominciano i guai.
Con mezza Regione che non va a votare, c'è da dare un'accelerata alle riforme. Fra ospedali da aprire e da chiudere. Fra una montagna che si spopola e il turismo che non decolla. Fra un labirinto di partecipate e holding regionali dove il centrodestra di Tondo aveva fatto incetta di poltrone e stipendi. Da Edi Snaidero, imprenditore del mobile piazzato ai vertici della finanziaria Friulia, fino a Enzo Cainero, ex candidato sindaco trombato e riciclato come esperto d'arte alla guida del museo di Villa Manin. Tutte teste che cadranno, una dopo l'altra. In un progetto che Debora ha in mente.
Affiancata da Sergio Bolzonello, ex sindaco di Pordenone, recordman di preferenze nel Pd, con quasi 10 mila voti. Roba che nella cittadina sul Noncello pesa come 150 mila preferenze a Roma ai tempi dello "squalo" Sbardella. Dall'altra parte, però, lei vuole avere un peso nazionale. Vuole battere i pugni sul tavolo del futuro governo. Qualsiasi esso sia. Vuole ridiscutere le competenze del Friuli. Vuole proporre al Paese la ricetta della sanità friulana, che non fa debiti e si paga da sola, unica in Italia. E vuole mostrare al Pd che c'è un modello di governo di centrosinistra che vince senza le larghe intese. E che governa senza Berlusconi.
Il telefono squilla. Centinaia di sms. Renzi, Civati, Franceschini, Vendola. Come se Debora fosse ricomparsa dal nulla all'improvviso. Poi la madre da Milano che le fa sentire i vagiti di Iacopo, che si scrive con la "I", il nipotino nato nelle ore della vittoria. Lei sorride sotto la frangetta un po' démodé che è diventata il suo marchio di fabbrica. Non lo faceva così da quando i suoi ripetevano che la stella del Pd s'era spenta.
Lei che nacque un po' come Matteo, quel sabato 21 marzo 2009. Maglioncino grigio e giacca beige, scese a Roma in pullman con i segretari dei circoli, illustre sconosciuta: «Credo che in un partito grande come il nostro, alla fine, sia mancata la leadership. Perché si deve arrivare a una parola chiara, a una linea unica». Applaudirono tutti. E sono letteralmente le stesse parole che Debora ha ripetuto dopo la vittoria in Friuli. Identiche: «Ma stavolta lo facciamo. Voglio dare una mano a Matteo per tirare fuori dalle macerie il Paese, prima ancora che il Pd. Vengo dal Friuli che sulle macerie e la tragedia del terremoto ha fondato la sua rinascita. Credo di esserci. Sono tornata»

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